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    1. Quali sono i casi in cui il medico può discostarsi dalle linee guida?

    Nello svolgimento delle proprie prestazioni gli esercenti le professioni sanitarie hanno il dovere di attenersi alle raccomandazioni previste dalle linee guida; tuttavia, il legislatore è ben conscio di come le stesse linee guida siano precetti elaborati in via generale, talvolta incapaci di annoverare e definire tutte le circostanze che si potrebbero prospettare nella pratica clinica. A tal proposito, l’art. 5 della Legge 24/2017 (recante Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie) prevede che il professionista possa discostarsi da quanto previsto dalle linee guida in virtù della “specificità del caso concreto”. Qualunque sia la finalità della prestazione sanitaria (preventiva, diagnostica, terapeutica, palliativa, riabilitativa o di medicina legale), il medico deve conoscere le linee guida vigenti e considerarle alla luce del caso concreto, per stabilire criticamente la propria condotta e dunque procedere alla loro applicazione o eventualmente discostarsene.

    2. In caso di impiego off-label di un farmaco, il medico può essere ritenuto civilmente o penalmente responsabile di eventuali effetti collaterali?

    Le reazioni avverse al farmaco consistono nell’ “Effetto nocivo e non voluto conseguente all’uso di un medicinale”. Avvenimenti di questo tipo possono generare controversie medicolegali che impongono di verificare il nesso di causalità tra condotta ed evento lesivo nonché la liceità della prescrizione/somministrazione. A seguito dell’impiego off-label di un farmaco, il medico può essere ritenuto civilmente o penalmente responsabile di eventuali reazioni avverse qualora non abbia verificato ed ottemperato ai dovuti presupposti per ritenere legittima la prescrizione/somministrazione: – assenza di alternative terapeutiche migliori; – evidenze scientifiche che documentino efficacia e tollerabilità del medicinale; – valutazione comparativa tra i benefici perseguiti e i rischi connessi alla specifica utilizzazione del farmaco; – adeguata informazione del paziente e acquisizione del consenso informato.

    3. In quali casi si può parlare di equipe medica e di principio di affidamento?

    L’ “equipe medica” si configura in caso di collaborazione di più sanitari nel contesto di un unico percorso diagnostico o terapeutico; l’impiego dei diversi operatori, talora aventi competenze diverse, può avvenire simultaneamente o in tempi diversi. Dal concetto di equipe medica, in ambito di responsabilità sanitaria, ha poi tratto origine il cosiddetto principio di affidamento, secondo cui ogni componente dell’equipe è responsabile, durante l’attività a lui affidata, del verificarsi di un evento lesivo. Il principio trae origine dall’esigenza di delineare gli obblighi di cui è responsabile ogni componente dell’equipe e bilanciare l’eventuale giudizio di colpevolezza. Pertanto, in caso di accertamento delle responsabilità per evento dannoso, ciascun operatore è soggetto ad una valutazione subordinata al proprio ruolo ed alla condotta (commissiva o omissiva) adottata. Ad ogni modo, indipendentemente dal principio di affidamento, in capo a ciascun sanitario, permane il dovere di vigilare sulla corretta attività altrui per individuare e porre rimedio ad errori riconoscibili da un qualunque professionista dotato delle comuni conoscenze scientifiche.

    4. Quali sono i limiti di divulgazione di informazione verso il familiare del paziente psichiatrico che il medico (psichiatra) deve seguire laddove si trovi di fronte ad un soggetto momentaneamente incapace ma ciò non risulta da alcun titolo (interdizione, inabilitazione, ecc.)?

    La diagnosi di patologia psichiatrica non è diretta espressione di un’infermità di mente tale da ridurre o annullare la capacità di ricevere informazioni sanitarie e/o prestare il proprio consenso ad un trattamento diagnostico o terapeutico. A riprova di ciò, si consideri che le misure giuridiche di prevenzione (es. interdizione, inabilitazione, etc.) sono applicate solo nei confronti di menomazioni psichiche tali da rendere il soggetto incapace di provvedere ai propri interessi. Qualora il medico si confronti con un paziente psichiatrico ritenuto momentaneamente incapace di provvedere autonomamente alle proprie esigenze di salute (comprendere le informazioni fornite dal personale sanitario, prendere decisioni o esprimere la propria volontà in merito a trattamenti diagnostici o terapeutici) e privo del riconoscimento di un titolo di tutela giuridica, è vietata la divulgazione di informazioni ai familiari del soggetto o la richiesta di prestare il consenso per l’interessato; in tali casi, il medico è tenuto a ricorrere al giudice tutelare, cui è rimessa la valutazione dell’appropriatezza e della necessità di attuare l’intervento sanitario.

    5. Quali sono i limiti di divulgazione di informazione verso il curatore o un familiare del minore emancipato che il medico (psichiatra) deve seguire laddove si trovi di fronte ad un soggetto momentaneamente incapace?

    Qualora il minore emancipato sia momentaneamente incapace di ricevere informazioni sanitarie e/o prestare il proprio consenso ad un trattamento diagnostico o terapeutico, lo specialista psichiatra può divulgare informazioni sanitarie esclusivamente ad eventuali soggetti terzi espressamente indicati dal paziente nel modulo di consenso alla comunicazione dei dati personali sensibili. In assenza di tale indicazione, in ottemperanza alle disposizioni in materia di trattamento dei dati personali, il medico deve interpellare il giudice tutelare che eventualmente legittimerà la diffusione di informazioni riguardanti il minore interessato.

    6. Prima di iniziare una “visita medica on-line” (televisita) è opportuno che il medico richieda l’esibizione di un documento di riconoscimento? È opportuno registrare la visita? Se sì, il paziente deve essere preventivamente informato della registrazione?

    Per la realizzazione di una televisita, le disposizioni normative prevedono l’utilizzo di sistemi informatici dotati di modalità di verifica dell’identità del paziente. Ad ogni modo, è prevista la possibilità che alla visita prendano parte soggetti terzi (caregiver, familiare, etc.). Per garantire la correttezza delle informazioni raccolte e riportate nel referto, il medico può chiedere l’esibizione di un documento di riconoscimento per l’identificazione del paziente; nel referto della televisita dovranno peraltro essere indicati tutti i soggetti presenti. Salvo particolari circostanze (es. ausilio audio-video al paziente nella gestione della terapia prescritta) non si rende necessario procedere alla registrazione della prestazione sanitaria. In caso di registrazione, è comunque obbligatorio ottemperare alle previsioni normative in materia di trattamento dei dati personali, tra cui la completa informazione del paziente (scopo della registrazione, modalità di trattamento dei dati, etc.) e l’acquisizione del consenso.

    7. Nel caso di “visita medica on-line” (televisita), le comuni piattaforme gratuite (es. Teams, Skype, etc.) sono tutte idonee alla visita? Quali cautele occorre seguire nella scelta della piattaforma più idonea?

    Gli attuali standard tecnologici per espletare prestazioni di Telemedicina sono stati definiti nel dicembre 2020 attraverso l’approvazione delle “Indicazioni Nazionali per l’Erogazione di prestazioni in Telemedicina” del Ministero della Salute; il documento, approvato in sede di Conferenza Stato Regioni, ha fornito istruzioni da adottare a livello nazionale per l’erogazione di alcune attività di telemedicina, tra cui la televisita. L’utilizzo di un’”applicazione web” per la trasmissione bidirezionale delle informazioni non è elemento sufficiente per garantire gli standard di servizio richiesti per l’erogazione delle predette prestazioni. La piattaforma deve disporre di svariati requisiti, tra cui alti livelli di affidabilità in materia di sicurezza e gestione delle informazioni sanitarie, sistema di profilazione e autenticazione degli utenti e possibilità di condividere eventuale documentazione medica. Tra gli elementi minimi e sufficienti per realizzare il servizio è infatti previsto l’impiego di un portale web con credenziali di accesso per i medici e possibilità di gestire i pazienti assegnati; per quest’ultimi il login viene eseguito mediante un proprio account con verifica dell’identità.

    8. Come opera il dovere di segretezza nel caso in cui il paziente sia deceduto? A quali familiari è possibile dare informazioni personali sul paziente deceduto?

    Il decesso del paziente non ha effetti sul dovere del medico di mantenere il segreto professionale. Pertanto, a tutela della riservatezza della persona deceduta, l’esercente la professione sanitaria non può comunicare informazioni personali ad alcun familiare. L’obbligo di segretezza viene meno nel caso in cui, prima della morte, il paziente abbia espresso il proprio consenso alla comunicazione delle informazioni di salute ad uno o più familiari; tale consenso deve essere acquisito dal medico e registrato nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico. L’eventuale violazione del dovere di segretezza, anche a seguito della morte del paziente, espone il medico a procedimenti di natura giuridica e disciplinare.

    9. Quando occorre il consenso informato del paziente?

    Come sancito dall’art. 32 della Costituzione Italiana, “...Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge...”. Pertanto, salvo i casi di T.S.O. (Trattamento Sanitario Obbligatorio), qualunque sia la finalità di un trattamento medico (diagnostica, terapeutica, riabilitativa, etc.), il consenso informato del paziente è elemento imprescindibile del rapporto di cura. Si segnala che la Legge n. 219/2017 prevede comunque la possibilità che il paziente rifiuti di ricevere le informazioni riguardanti le proprie condizioni di salute e/o di essere informato circa i benefici e i rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari per lui indicati; in tal caso, è facoltà dello stesso indicare i familiari o una persona di sua fiducia incaricati di ricevere le informazioni e di esprimere il consenso in sua vece.

    10. La prescrizione di farmaci obbliga il medico ad informare il paziente sui possibili effetti avversi della terapia? È opportuno che il predetto consenso sia fornito in forma scritta?

    La prescrizione di un farmaco obbliga il medico ad informare il paziente non solo sui possibili effetti avversi della terapia ma anche riguardo la natura del trattamento, i probabili benefici, le eventuali alternative e le conseguenze del rifiuto della cura. L’informativa chiara ed esaustiva del paziente ed il suo consenso sono atti indispensabili e necessari per rendere legittimo l’atto medico. Ad eccezione di talune circostanze (es. uso di medicinali per indicazioni non previste dalla scheda tecnica, prescrizione di terapie non convenzionali, etc.), per le quali vigono chiare disposizioni giuridiche e deontologiche che prescrivono la necessità di registrare il consenso del paziente in forma scritta, il medico può formalizzare il consenso nei modi e con gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente (forma orale, forma scritta, videoregistrazioni o altri dispositivi di comunicazione del paziente).

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